sabato 13 aprile 2013

“Grazie per avermi dato la vita”


Parto anonimo.

  (Tratto da www.lenuovemamme.it)

Per la legge italiana non si diventa mamma e papà automaticamente, al momento del parto; è la dichiarazione di nascita o il riconoscimento a farci genitori di quel bambino appena venuto al mondo.
La donna che partorisce può anche non riconoscere il bambino, e se neppure il papà lo fa si aprono le pratiche per la dichiarazione di adottabilità. È una scelta di responsabilità e di apertura alla vita: quella donna affronta il percorso della gravidanza, i tanti mutamenti fisici e psicologici che porta con sé, il travaglio del parto e l’esperienza della nascita sapendo di non poter crescere quel bambino, per dargli la possibilità di vivere e di essere felice, con una famiglia che se ne possa prendere cura.
Se tutto andrà per il meglio ci saranno una nuova mamma e un nuovo papà, quel bambino diventerà un adulto e dovrà essere informato della sua storia adottiva, e a venticinque anni potrà domandare al Tribunale per i Minorenni di essere autorizzato a conoscere il nome della madre che l’ha dato alla luce, e attraverso lei ricostruire le proprie radici, la sua storia personale, e magari conoscere anche eventuali fratelli o sorelle di sangue.
C’è però un’eccezione, conosciuta solo da Italia, Francia e Lussemburgo: la madre può, al momento del parto, chiedere di restare anonima anche rispetto alle ricerche successive del proprio figlio. Un anonimato che pesa per cento anni dalla nascita, e di fatto impedisce ai più di riallacciare i nodi della propria storia.
L’anonimato serve senza dubbio a stimolare la scelta del parto ed evitare l’aborto, perché tiene la mamma al riparo dal peso della responsabilità dell’abbandono, perché mai il figlio la potrà ricercare e riportarla dinnanzi alla scelta che fece quel giorno.
Ma quel figlio (o i suoi figli) può sviluppare malattie genetiche curabili solo conoscendo i dati dei propri ascendenti, come avviene per il linfoma non Hodgkin ma anche per il diabete mellito, e ancora più spesso può manifestare gravi difficoltà psicologiche specialmente durante l’adolescenza, quando tutti i ragazzi hanno bisogno di sapere da dove vengono per conoscersi davvero, ed affrontare le sfide della vita.
E quella mamma spesso vive un travaglio interiore pesantissimo, e non può più tornare a cercare quel figlio per ricucire una ferita che continua a sanguinare specialmente quando sono superate le difficoltà economiche e personali che hanno imposto l’abbandono, e magari sono arrivati altri figli.
In una sentenza dello scorso 25 settembre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato questa grave violazione del diritto alla vita privata, tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea, imponendo un ripensamento della nostra legge volto a consentire al figlio di conoscere dati non identificanti della madre, come ad esempio la sua anamnesi o il DNA, e a permettere alla donna di ripensare la sua scelta di anonimato, e farsi conoscere dal proprio figlio.
Saranno passati tanti anni (almeno 25 secondo i progetti di legge di modifica che pendono da anni all’esame delle nostre camere) e quella mamma non troverà un giudice e una condanna, ma un giovane uomo che la cerca per ringraziarla, o una giovane mamma che vuole farle conoscere un nipotino, e vedere nei loro tratti il segno di una storia d’amore condivisa.
Un Comitato per il Diritto alle Origini raccoglie persone che hanno vissuto questa esperienza,sostiene la modifica della legge italiana, per rimuovere la condanna dei cento anni di silenzio, raccogliendo l’attenzione delle persone più sensibili: provate a leggere nella loro pagina facebook le storie di chi cerca la sua mamma biologica, senza nulla togliere all’amore per i genitori adottivi. Non vi troverete nessuna condanna, ma solo la foto di uno striscione che parla da solo “Ti cerco per dirti grazie per avermi dato la vita”. Troverete anche l’invito a sostenere con una petizione on line questa conquista di civiltà e di amore.

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