Cosa dice la legge


Per scelta non riporto qui la legge sull'aborto del 1978, vi riporto invece dal sito del ministero la legge che permette di partorire e lasciare il vostro bimbo in ospedale affinchè venga adottato....



Parto in anonimato
... Quando la mamma vuole rimanere segreta...

La nascita di un bambino è un evento straordinario nella vita di una donna, che incide profondamente nella sua vita concreta, emotiva, relazionale.
Non tutte le donne riescono ad accogliere la loro maternità, per una complessità di motivazioni che occorre ascoltare, comprendere e riconoscere. Durante la gravidanza, specie in situazioni di difficoltà di varia natura della madre a rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino, è indispensabile che la donna sia seguita in maniera qualificata, per la tutela sua e del nascituro, in modo da evitare decisioni affrettate e spesso drammatiche, al momento del parto. Occorre sostenere, accompagnare, informare le donne, affinché le loro scelte siano libere e consapevolmente responsabili. E’ fondamentale la relazione della comunicazione con la donna.
In ospedale, al momento del parto, serve garantire la massima riservatezza, senza giudizi colpevolizzanti ma con interventi adeguati ed efficaci, per assicurare - anche dopo la dimissione - che il parto resti in anonimato.
La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti. La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’Ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Difficoltà materna e servizi disponibili

Molte regioni ed in particolare alcune città italiane, per prevenire il fenomeno dell'abbandono traumatico del neonato, hanno promosso campagne informative in proposito, potenziando i servizi a tutela della donna in difficoltà e orientando gli ospedali più specializzati a seguire il parto in anonimato. Tempestive e adeguate informazioni alla donna in gravidanza e interventi concreti in suo aiuto, di tipo sociale, economico e psicologico, permettono di garantire il diritto alla salute della gestante e del nascituro, un parto protetto nella struttura ospedaliera e la possibilità di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta da parte della donna, se riconoscere o meno il bambino.

L’ospedale presso il quale avviene la nascita deve dunque assicurare alla madre e al neonato la piena attuazione dei diritti sopra evidenziati, tramite i suoi operatori sanitari, socio-assistenziali e amministrativi, nella specificità delle loro professioni e competenze e nella interazione con le altre istituzioni demandate a tale tutela.

Disposizioni di legge

Il nostro ordinamento giuridico garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e la tutela della maternità.
Chi nasce è riconosciuto dalla nostra legge come “persona”, cui è attribuita la capacità giuridica, cioè la titolarità di diritti, anzitutto come ad ogni essere umano i diritti inviolabili della persona, il diritto all’identificazione, al nome, alla cittadinanza, alla certezza di uno status di filiazione, alla educazione e alla crescita in famiglia.
Al neonato non riconosciuto devono essere assicurati specifici interventi, secondo precisi obblighi normativi, per garantirgli la dovuta protezione, nell’attuazione dei suoi diritti fondamentali.
La dichiarazione di nascita resa entro i termini massimi di 10 giorni dalla nascita, permette la formazione dell’atto di nascita, e quindi l’identità anagrafica, l’acquisizione del nome e la cittadinanza.
Se la madre vuole restare nell’anonimato la dichiarazione di nascita è fatta dal medico o dall’ostetrica -
 "La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata" (DPR 396/2000, art. 30, comma 1)

L’adozione del bambino non riconosciuto

L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante. Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.
Nella segnalazione e in ogni successiva comunicazione all’autorità giudiziaria devono essere omessi elementi identificativi della madre.

Casi particolari

La madre che ha particolari e gravi motivi che le impediscono di formalizzare il riconoscimento, può chiedere al Tribunale per i Minorenni presso il quale è aperta la procedura per la dichiarazione di adottabilità del neonato, un periodo di tempo per provvedere al riconoscimento.
In questi casi la sospensione della procedura di adottabilità può essere concessa per un periodo massimo di due mesi, nel quali la madre deve mantenere con continuità il rapporto con il bambino.
Il riconoscimento può essere fatto dal genitore che abbia compiuto 16 anni. Nel caso di madre non ancora sedicenne, impossibilitata quindi al riconoscimento, ma che voglia occuparsi del figlio, la procedura di adottabilità è sospesa anche d’ufficio sino al compimento del 16° anno, purché il minore, adeguatamente accudito, abbia un rapporto continuativo con la madre.

Limiti al diritto di accesso delle informazioni

L’art. 28 della
 Legge 2001 n. 149, aderendo a un obbligo derivante dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 (art. 7) e della Convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale del 1993 (art.30), ha introdotto anche in Italia, dopo molte polemiche, il diritto dell’adottato di accedere, a certe condizioni e con certe procedure, alle informazioni concernenti l’identità dei suoi genitori biologici.
Tuttavia, l’accesso a quelle informazioni non è consentito se l’adottato non è stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale. (art. 24 comma 7 legge 2001 n. 149 - L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.)
Pertanto, il diritto a rimanere una mamma segreta prevale su ogni altra considerazione o richiesta, e ciò deve costituire un ulteriore elemento di sicurezza per quante dovessero decidere, aiutate da un servizio competente ed attento, a partorire nell’anonimato.

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 Parto anonimo. “Grazie per avermi dato la vita”

 

 (Tratto da www.lenuovemamme.it)

Per la legge italiana non si diventa mamma e papà automaticamente, al momento del parto; è la dichiarazione di nascita o il riconoscimento a farci genitori di quel bambino appena venuto al mondo.
La donna che partorisce può anche non riconoscere il bambino, e se neppure il papà lo fa si aprono le pratiche per la dichiarazione di adottabilità. È una scelta di responsabilità e di apertura alla vita: quella donna affronta il percorso della gravidanza, i tanti mutamenti fisici e psicologici che porta con sé, il travaglio del parto e l’esperienza della nascita sapendo di non poter crescere quel bambino, per dargli la possibilità di vivere e di essere felice, con una famiglia che se ne possa prendere cura.
Se tutto andrà per il meglio ci saranno una nuova mamma e un nuovo papà, quel bambino diventerà un adulto e dovrà essere informato della sua storia adottiva, e a venticinque anni potrà domandare al Tribunale per i Minorenni di essere autorizzato a conoscere il nome della madre che l’ha dato alla luce, e attraverso lei ricostruire le proprie radici, la sua storia personale, e magari conoscere anche eventuali fratelli o sorelle di sangue.
C’è però un’eccezione, conosciuta solo da Italia, Francia e Lussemburgo: la madre può, al momento del parto, chiedere di restare anonima anche rispetto alle ricerche successive del proprio figlio. Un anonimato che pesa per cento anni dalla nascita, e di fatto impedisce ai più di riallacciare i nodi della propria storia.
L’anonimato serve senza dubbio a stimolare la scelta del parto ed evitare l’aborto, perché tiene la mamma al riparo dal peso della responsabilità dell’abbandono, perché mai il figlio la potrà ricercare e riportarla dinnanzi alla scelta che fece quel giorno.
Ma quel figlio (o i suoi figli) può sviluppare malattie genetiche curabili solo conoscendo i dati dei propri ascendenti, come avviene per il linfoma non Hodgkin ma anche per il diabete mellito, e ancora più spesso può manifestare gravi difficoltà psicologiche specialmente durante l’adolescenza, quando tutti i ragazzi hanno bisogno di sapere da dove vengono per conoscersi davvero, ed affrontare le sfide della vita.
E quella mamma spesso vive un travaglio interiore pesantissimo, e non può più tornare a cercare quel figlio per ricucire una ferita che continua a sanguinare specialmente quando sono superate le difficoltà economiche e personali che hanno imposto l’abbandono, e magari sono arrivati altri figli.
In una sentenza dello scorso 25 settembre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato questa grave violazione del diritto alla vita privata, tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea, imponendo un ripensamento della nostra legge volto a consentire al figlio di conoscere dati non identificanti della madre, come ad esempio la sua anamnesi o il DNA, e a permettere alla donna di ripensare la sua scelta di anonimato, e farsi conoscere dal proprio figlio.
Saranno passati tanti anni (almeno 25 secondo i progetti di legge di modifica che pendono da anni all’esame delle nostre camere) e quella mamma non troverà un giudice e una condanna, ma un giovane uomo che la cerca per ringraziarla, o una giovane mamma che vuole farle conoscere un nipotino, e vedere nei loro tratti il segno di una storia d’amore condivisa.
Un Comitato per il Diritto alle Origini raccoglie persone che hanno vissuto questa esperienza,sostiene la modifica della legge italiana, per rimuovere la condanna dei cento anni di silenzio, raccogliendo l’attenzione delle persone più sensibili: provate a leggere nella loro pagina facebook le storie di chi cerca la sua mamma biologica, senza nulla togliere all’amore per i genitori adottivi. Non vi troverete nessuna condanna, ma solo la foto di uno striscione che parla da solo “Ti cerco per dirti grazie per avermi dato la vita”. Troverete anche l’invito a sostenere con una petizione on line questa conquista di civiltà e di amore.

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