Da qualche anno in America una donna eccezionale, che forse qui in Italia quasi nessuno conosce, porta avanti una battaglia ideale a favore della vita in giro per gli States, incontrando donne, uomini, intellettuali e politici: è Gianna Jessen.
Non è un star del rock, del cinema o dello sport, è una donna di trentaquattro anni dalla salute malferma e con una grave patologia che non le permette di camminare autonomamente. Questa donna, armata solo del suo coraggio, ha creato un movimento culturale pro-life negli Usa, avendo vissuto sulla sua pelle cosa significa la parola aborto. Un caso mediatico straordinario nato inizialmente quasi in sordina su internet è esploso, in seguito, sull’onnipresente Facebook.
Fin qui nulla di strano, non è certo la prima donna pro-life nella storia americana, ma la sua è un esperienza vissuta in prima persona: è infatti venuta al mondo nonostante fosse stata sottoposta alla pratica abortiva quando era ancora nel seno della propria madre, una ragazzina appena adolescente che voleva liberarsi di questo “incidente di percorso”, come tante altre sue coetanee. Dopo averla sottoposta alla visita medica, si accertò che la ragazza era in uno stato di gravidanza avanzata e, pertanto, fu sottoposta all’aborto salino, uno dei procedimenti più brutali per l’interruzione della gravidanza.
Per comprendere meglio la sua storia, ricordiamo che in questo procedimento abortivo viene iniettata una soluzione che arriva fin nell’utero della donna dove il feto deglutisce questo liquido, come ha fatto fino a quel momento con il cibo che gli arriva dalla madre. La differenza è che con questo ”cibo” in realtà il bambino brucia, sia fuori che negli organi interni, come quando si entra in contatto con un acido. L’agonia dura dalle 18 alle 24 ore, dopo di che il “bambino” viene partorito morto.
A questo procedimento, trentaquattro anni fa, fu sottoposta anche la nostra Gianna, solo che quando venne partorita, con grande meraviglia di tutti, non era affatto morta. Il suo corpicino aveva subito certamente gravissimi danni, soprattutto cerebro spinali, pur tuttavia era viva.
Quella mattina della nascita, nella stanza c’erano altre giovani donne che avevano appena avuto il trattamento salino ed aspettavano di partorire bambini morti. Quando la videro ancora in vita, provarono l’orrore dell’omicidio e molte ebbero profonde crisi di coscienza. Per evitare l’isteria tra le pazienti, un’infermiera chiamò un’ambulanza e fece trasferire la neonata all’ospedale.
Fortunatamente per lei il medico abortista non era di turno. Se il medico abortista fosse stato al suo posto Gianna non sarebbe vissuta “dato che il suo lavoro – come dice la ragazza – è togliere la vita, non sostenerla”. Parole dure che descrivono bene tutta la trafila dell’aborto, molto spesso ignorata.
Ma torniamo a quel giorno così drammatico. Le assistenti dell’ospedale, non se la sentirono più di infierire su quella piccola e la adottarono. Tra loro c’era una giovane infermiera, Penny, che diventerà in seguito la sua vera mamma pur sapendo che la piccola avrebbe avuto per tutta la vita gravi problemi soprattutto motori causati da una insufficienza di ossigeno durante le fasi abortive subendo, così, una forma di paralisi cerebrale.
Tutto quello che avrebbe potuto fare nella vita, avevano diagnosticato i medici, era stare sdraiata, difficilmente avrebbe potuto sedersi o camminare. Ma attraverso l’impegno della madre adottiva e di tanta gente generosa, alla fine la piccola riuscì a sedersi ed a gattonare con fanno i bambini piccoli. Infine, ecco un altro prodigio, pur con grandi sforzi, riuscì finalmente a stare in piedi anche se con l’aiuto di stampelle.
Ormai adolescente, Gianna cominciò a riflettere sulla sua storia e sulla fortuna che aveva avuto, a differenza tanti altri che avevano subito la stessa tragedia, rimanendo, però, segnati gravemente per tutta la loro esistenza.
Ragazzi concepiti sani si ritrovavano ciechi, paralizzati, sordo muti e a volte con ritardi mentali, ma tutti con la voglia e la gioia di vivere e di comunicare agli altri. Gianna decise così che questa sarebbe la sua battaglia: per la vita contro la morte. Oggi si può certamente parlare contro l’aborto difendendo i valori della vita, ma a tutto c’è un limite e Gianna lo ha superato parlando della sua responsabilità come cristiana e della forza che Gesù le dava per continuare il suo impegno.
Dagli avversari ideologici viene considerata un’esaltata e non certamente politically correct. “So di parlare di qualcosa di scomodo, nominando Gesù Cristo in questi ambienti – afferma – ma io non sono sopravvissuta per farvi sentire comodi. Volete insultarmi? Bene. I vostri insulti sono solo gioielli in più per la mia corona”.
Davanti ad altre contestazioni risponde spesso in maniera disarmante: “Sono così grata per la mia paralisi cerebrale perché mi permette di dipendere veramente solo da Gesù per ogni cosa. Sono felice di essere viva. Ogni giorno ringrazio Dio per la vita. Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto, o un altro dei titoli dati ad un bambino nell’utero. Non penso che nessuna persona concepita sia una di quelle cose”.
Parole forti che entrano nel cuore delle persone e che non lasciano scampo. Ecco alcuni dei suoi pensieri, ormai diventati slogan: ”L’aborto è moralmente sbagliato. Il nostro Paese sta spargendo il sangue degli innocenti. L’America sta uccidendo il suo futuro. Tutta la vita ha valore. Tutta la vita è un dono del nostro Creatore. Dobbiamo ricevere e conservare i doni che ci sono dati. Dobbiamo onorare il diritto alla vita”.
Per ascoltare la storia di Gianna direttamente da lei guarda questa intervista: video QUI.
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