venerdì 18 ottobre 2013

Un dono di Dio: un talento down!

Doveva essere abortito perché down: oggi è un vero e proprio genio Ha 16 anni, parla inglese e spagnolo alla perfezione ma se la cava anche col francese e il latino. E’ un adolescente con un’incredibile capacità di suonare bene il violino e si è già esibito in concerti con orchestre sinfoniche. Tiene anche conferenze per gli Stati Uniti e nel resto del mondo.Si chiama Emmaunel Joseph Bishop e guardando alla sua storia si può dire senza esagerare che è alcune spanne al di sopra degli adolescenti della sua età. Questo giovanotto talentuoso ha lasindrome di Down; in alcuni paesi la legge permette di abortirlo prima della nascita, solo perché Down.La sua storia è così impressionante che sta girando il mondo attraverso i social network.E’ difficile trovare un talento come quello di Emmanuel in giro per il mondo magari perché non li hanno lasciati nascere per il solo fatto di essere affetti dalla sindrome di Down; questo per il fatto di non avere i requisiti che la società occidentale afferma che si debbano avere, per essere degni di questa vita. E tutto questo protetti dalla legge.Tuttavia, la storia di Emmanuel appare come una tempesta che distrugge tutti questi sofismi per giustificare l’aborto di decine di migliaia di bambini che non sono considerati adatti. Questo adolescente statunitense ha smontato tutti gli argomenti a favore dell’aborto dei Down, mostrando al mondo di cosa sia capace.Un cattolico devoto.Emmanuel è anche un cattolico molto devoto, lo afferma orgoglioso, facendo le sue preghiere anche in latino, dirigendo la preghiera del Rosario e altre preghiere comunitarie in molte occasioni.In questo senso, questo ragazzo, intende usare il dono che Dio gli ha fatto, per un fine più grande. I suoi sforzi sono per mostrare che i disabili sono uguali agli altri, che hanno i propri doni e abilità da mostrare al mondo. I definitiva, convincere il mondo che sono utili, proprio il contrario che quotidianamente il mondo insegna.Un talento precoce.Emmanuel è nato il 21 Dicembre del 1996 nella città statunitense di Grafton. Coominciò subito a sorprendere tutti: a due anni già cominciava a leggere e a tre era capace di leggere parole in francese.A soli sei anni lesse il discorso di benvenuto dell’Associazione Nazionale Sindrome di Down, e lo fece in tre lingue per una platea di più di seicento persone. A questa età cominciò ad apprendere a suonare il violino, uno dei suoi maggiori interessi.La vita di Emmanuel prosegue a questa velocità vertiginosa. A otto anni andava in bicicletta e vinceva medaglie alle paralimpiadi degli USA, gareggiando anche nel golf e nel nuoto in cui vinse medaglie nei 200 e 400 metri in stile libero.Il violino, la sua arma, il suo scudo.Un anno dopo faceva il chierichetto in parrocchia e l’anno successivo riceveva il sacramento della Cresima. Nel 2010 corona un altro suo sogno, suonando alla Giornata Mondiale per la Sindrome di Down in Turchia, insieme a un’orchestra sinfonica. A 12 anni suona il violino inun recital inIrlanda in occasione del Decimo Congresso Mondiale della Sindrome di Down.Il suo obbiettivo: aiutare altri bambini.Emmanuel è stato educato da genitori che non hanno mai dubitato delle sue capacità. Con sforzo e perseveranza questo ragazzo ha potuto superare la sua disabilità.Nelle sue presentazioni parla della sua vita di adolescente con Sindrome di Down, che ha interesi, che ama gli sport, la musica, che nuota, che va in bicicletta.I suoi obbiettivi si riassumono in quattro punti:Evidenziare le competenze, talenti, doni e le potenzialità dei bambini con questa disabilità.Contrastare le basse aspettative nella sindrome di Down.Dimostrare che la gioia di vivere non si oppone a queste persone.Attenuare la prevalenza di tutto ciò detto o scritto sulla sindrome di Down proviene principalmente da persone senza questa disabilità.Un esempio per tutti.A Dicembre 2012, a Houston, in occasione della riunione annuale della trisomia 21, Emmanuel sorprende tutti raccontando le sue avventure e viaggi intorno al mondo, i loro studi e anche del suo violino. Parla anche un po’ in francese e delle opere d’arte che aveva visitato durante il suo soggiorno a Parigi. Risponde alle domande sulla sua vita e di dubbi che altre persone possono avere.La sua formazione in casa ha dimostrato l’importanza dell’alfabetizzazione precoce.La sua testimonianza, più per la sua capacità di superamento che per le sue abilità concrete, è uno stimolo e un impulso per molti bambini con Sindrome di Down e le loro famiglie. Non sono sole e sono utili molto più di quanto possano immaginare.[Tradotto da: http://www.religionenlibertad.com/articulo.asp?idarticulo=31458%5D



mercoledì 16 ottobre 2013

Un dolore che non passa...

<< (...) un lutto sbagliato. Perchè quello dei genitori di bambini morti durante la gravidanza o il parto è un lutto molto speciale: un lutto che sembra non ave...re il diritto di esistere (... ) Un lutto che non deve esistere (...) per amici e parenti dei genitori, che appaiono, a seconda dei casi, imbarazzati, stupiti, irritati...come davanti a un sentimento inopportuno ed esagerato. Il fatto è che la morte di un figlio è un evento innaturale e drammatico, un dolore inimmaginabile, terrorizzante. Quindi molto meglio pensare che questa non è come la morte di un figlio "vero", e comportarsi di conseguenza. Per esempio dicendo frasi come queste, tutte rigorosamente autentiche: "Ma si dai, ne farete degli altri". "Pensa se ti succedeva più avanti!" "Ma stai ancora male? Sono già tre mesi..." "La prossima volta fai due gemelli, così recuperi...!" "La prossima volta ne farete un altro più bello!" "Beh, non era ancora proprio un bambino..." "Scusa se non ti vengo a trovare, ma sono incinta e non mi voglio intristire" "Ma gli fanno anche il funerale?!" A nessuno, io credo, verrebbe in mente di dire cose del genere a una coppia che ha perso un figlio, se si trattasse di un bambino più grande o di un adolescente. Ma i "bambini nati in silenzio" (...) sembra siano figli solo per i loro genitori. Riuscite a immaginare una solitudie peggiore di questa?>> Brano tratto dalla prefazione al libro: "La tua culla è il mio cuore". Un progetto dell'Associazione CiaoLapo Onlus. Ieri è stata la Giornata del lutto perinatale. Molte donne e molte famiglie vivono con estrema solitudine questo dolore. Forse è il caso di parlarne tra di noi, iniziare a non sentirci sole condividendo le nostre esperienze, personali o meno, per allontanare il senso di vuoto e isolamento che aggrava un momento già estremamente difficile per qualunque donna, per qualunque mamma. ( da Facebook).Nasce anche per questo il mio blog.
Ora pero' vivo più serena perchè a Medugorje, la Madonna mi ha fatto un grande Grazia che mi ha permesso di credere in modo ancora più forte che anche il mio angioletto è in cielo con lei!




martedì 15 ottobre 2013

martedì 9 luglio 2013

Walter nato vivo a 19 settimane

Nato vivo a 19 settimane. 
La storia di Walter «che si ostinavano a chiamare feto, ma era perfetto»


Proprio mentre negli Stati Uniti alla Camera passava il disegno di legge per vietare l’aborto oltre la 20esima settimana, le immagini di Walter, nato vivo a 19 settimane e 3 giorni, hanno fatto il giro del web. Una nascita davvero inusuale, su cui i medici stanno ancora indagando. La madre, Lexi Fretz, ha detto di «pregare il Signore di continuare a utilizzare le foto di Walter per incontrare molte altre persone». La donna ha deciso di raccontare quanto le è successo. Un racconto dettagliato, a tratti angosciante, di un travaglio in ospedale in cui non le è mai mancato l’affetto e la vicinanza del marito Josh. Cosa che non si può dire dei medici e degli infermieri, che chiamavano quel suo figlio in pancia «il feto» («e a me – ha raccontato Lexi – veniva voglia di schiaffeggiarli»).



FETO O BAMBINO? Un bambino – perché a un certo punto anche i medici hanno iniziato a usare questo termine – di quell’età non poteva avere molte speranze di vita. Nato alle 21.42, è stato subito messo nelle braccia della madre. «Ho pianto così tanto, ma lui era perfetto», ha raccontato Lexi. «Era completamente formato, era tutto lì. Ho potuto vedere il suo cuore che batteva nel suo piccolo petto. Josh e io lo tenevano in braccio e piangevano su di lui guardando il nostro perfetto, piccolo figlio». Intorno a Lexi ha cominciato a formarsi un capannello di persone: medici, infermieri, familiari. Tutti ad ammirare quel piccolo miracolo. «Hanno pregato con me, con me hanno pianto ed erano lì a rispondere a ogni mio bisogno. Così, pur in un momento di grande dolore, mi sono sentita amata da tutti».
Il piccolo rimane coi genitori fino a spegnersi. Momenti dolorosi, ma che Lexi assicura essere importanti: «Ho il cuore spezzato, avendo saputo delle storie di persone che non sono state autorizzate a vedere il loro bambino. Sarebbe stato devastante per me! Lo tenevo, lo coccolavo mentre il suo cuore batteva. L’ho stretto al mio cuore, gli ho contato le dita dei piedi e gli ho baciato la piccola testa. E ora custodirò per sempre questi ricordi di lui».
«NON SO PERCHE’ MA…». La donna è ancora sconvolta da quante persone abbiano visto e commentato le foto di suo figlio e dal fatto che «nella sua breve esistenza, di soli pochi minuti, ha toccato più vite di quante avrei mai potuto immaginare. Ho ricevuto messaggi da persone di tutto il Paese che hanno sperimentato una perdita o sono state toccate dalla sua storia. Ho anche saputo di un paio di persone che hanno usato le sue foto per aiutare una donna che stava male e che stava pensando all’aborto».


Lexi sa bene che anche se «non capisco perché il Signore lo ha portato subito a casa», 
quelle foto dicono che, «anche se non possiamo vederle il bambino in grembo, non vuol dire che lui è un grumo di cellule. Walter era perfettamente formato e si muoveva nel 
grembo materno». Non solo, «potrò anche non capire fino in fondo perché, ma resta il conforto di sapere dove si trova e che lo vedrò ancora. Per ora, è con suo Padre celeste che lo ama immensamente più di me, la sua mamma terrena». E comunque, conclude Lexi, sono grata che qualcosa di buono stia nascendo da tutto ciò. Per questo, «prego il Signore di continuare a utilizzare le foto di Walter per incontrare molte altre persone».





mercoledì 26 giugno 2013

martedì 25 giugno 2013

La pillola Ru486 , alcune verità da conoscere

Mara (il nome è di fantasia) ha abortito utilizzando la pillola Ru486 due anni fa, quando ne aveva 26. Oggi che di aborto farmacologico si è ricominciato a parlare, dopo che l’Agenzia italiana per il farmaco ha approvato la commercializzazione della pillola, Mara scopre che quello che le è capitato non è un caso, che altre donne hanno sofferto come lei e che nel mondo si contano 29 decessi seguiti all’assunzione della pillola.
 «Perché nessuno ne parla? Perché dicono di agire per il bene delle donne e ti spiegano che sentirai solo dei dolorini? Forse qualcuno ci guadagna qualcosa?», si chiede oggi questa donna che si dice a favore della libera scelta delle donne in tema di aborto.

Quasi avida di sapere tutto ciò che riguarda il “farmaco incubo” (così lo hanno chiamato in Cina dopo averlo ritirato dal mercato perché troppo pericoloso), Mara accetta di raccontare la sua storia a Tempi perché «spero che si faccia un’indagine su quello che fanno negli ospedali». 
«Per abortire mi sono rivolta al Centro salute donna di Piacenza, lì lavora la dottoressa che mi ha proposto la Ru486. Durante il colloquio la possibilità dell’aborto chirurgico è stata appena accennata. Il medico diceva che era un metodo invasivo e che si corrono seri rischi d’infezione, mentre con la pillola sarebbe stato tutto più semplice e sicuro, al massimo avrei sentito dei fastidi».
 Che le cose non stavano proprio così Mara avrebbe dovuto scoprirlo sulla sua pelle.

 Prima della decisione dell’Aifa del 30 luglio scorso le diverse sperimentazioni della pillola (tra cui quella dell’ospedale di Torino guidata dal ginecologo radicale Silvio Viale) furono sostituite da una pratica che di fatto aggirava il divieto di vendita e prevedeva l’acquisto dall’estero della pillola in via nominale per ogni paziente. Un procedimento applicabile per certi medicinali non ancora in commercio in Italia ma approvati dall’Ente europeo per il controllo sui farmaci. 
«Non capivo, ma mi sono fidata com’è normale. Precisavano che la pillola sarebbe arrivata dalla Francia e continuavano a ripetermi che sarebbe stata tutta per me. Mi dicevano: “Guarda, la confezione che compriamo è da tre pillole, ma è solo tua, ne usiamo una e le altre due le buttiamo”. Su questo dettaglio insistevano, come a sottolineare che a loro quelle pasticche costavano ma lo facevano per me». A distanza di tempo Mara ricorda stranezze a cui sul momento non diede peso. «C’era qualcosa di strano: la pillola non l’ho ingoiata in ospedale ma nel Centro salute donna. Due giorni dopo sono tornata per prendere altre medicine. La dottoressa mi aspettava al Centro per accompagnarmi lei in ospedale. Mi fece passare dal retro come per non dare nell’occhio e appena arrivata mi mandò a firmare un foglio, così, diceva “risulti ricoverata in day hospital ma in realtà torni a casa”. Subito dopo mi hanno somministrato il secondo farmaco, stavolta per via vaginale. Erano delle pastigliette».

«DA SOLA SAREI MORTA». Il farmaco in pastiglie che in questi casi viene somministrato per via vaginale è il Cytotec. Un tempo usato nei casi di ulcera e in grado di provocare contrazioni, oggi è sconsigliato dalle autorità sanitarie mondiali come farmaco abortivo per via dei gravi effetti collaterali. Anche questo dettaglio Mara lo apprende soltanto ora. «La parte peggiore è stata quando sono uscita: non appena salita in macchina ho incominciato a sentire delle fitte insopportabili, mi sentivo venir meno e penso sempre che se fossi stata sola forse non sarei qui, probabilmente mi sarebbe capitato un incidente. Fortunatamente c’era il mio ragazzo. Altrimenti come avrei fatto a salire le scale su cui sono svenuta? Chi mi avrebbe accudito quando sono entrata in casa vomitando per ore con sbalzi ormonali pazzeschi, sensazioni di freddo e caldo continue e tachicardie ripetute, mentre la violenza delle contrazioni mi piegava in due? E i giorni seguenti quando sono dovuta rimanere a letto come avrei fatto ad andare in bagno o anche solo a mangiare?». Spaventata, Mara pensa che qualcosa sia andato storto o di avere avuto una reazione allergica. «Chiamai la dottoressa che mi disse di tornare in ospedale solo nel caso di perdite emorragiche prolungate. Ho scoperto dopo che teoricamente dovevano farmi degli esami perché non tutti riescono a tollerare la pillola, ma a me di esami non ne hanno fatti». In effetti la procedura prevede di verificare l’assenza di ipertensione, aritmia, asma e allergia alle due pillole. In realtà i disagi subiti da Mara rientrano perfettamente negli effetti collaterali provocati dalla pillola. Un caso simile viene raccontato a Tempi da Graziella, cofondatrice e volontaria del Centro d’aiuto alla vita di Trento. «Due anni fa – spiega – una donna rumena venne qui e ci disse che voleva abortire perché era in Italia da sola e non sarebbe riuscita a prendersi cura di quel figlio. Noi le spiegammo che l’avremmo sostenuta sia economicamente sia fisicamente, ma in lei vinse il sospetto che dietro quella gratuità si nascondesse qualche interesse e decise di interrompere la gravidanza. Andò all’ospedale Santa Chiara dove le proposero la Ru486 come il metodo più innocuo». La voce di Graziella si fa più acuta, a tratti rotta: «Quando la richiamai mi raccontò che era spaventata per le perdite continue. Le dissi di tornare in ospedale. Andò avanti così per giorni ripetendomi continuamente “sto da cani, sto da cani”. Poi, dopo qualche giorno, è scomparsa e non so cosa le sia successo. Mi viene una rabbia che non so frenare quando penso a come trattano queste donne», conclude Graziella. La rabbia sale anche a Mara che non capisce «come mai queste cose non siano rese pubbliche e nemmeno quale sia l’interesse a tenerle nascoste, quando sarebbe semplicissimo fare dei controlli per sapere cosa è successo alle tante che hanno abortito con quel farmaco».

NON SOLO DOLORE FISICO. Anche sul web non è facile trovare le storie di chi ha sofferto per la somministrazione della Ru486 in Italia. A Mara mostriamo un articolo apparso su La Repubblica di Firenze il 28 febbraio del 2008, che non è facile trovare in rete. Mara lo legge con attenzione, velocemente, mostrando di nuovo quella voracità di conoscere la storia di altre donne che hanno abortito come lei. L’articolo racconta di una ragazza che ha usato la Ru486, anche a lei è stato somministrato il Cytotec. «Con quel farmaco – dice la ragazza a Repubblica – ti rendi conto di tutto. È dura, capisci quello che fai e lo fai con le tue gambe. Sono state quelle settantadue ore il momento più difficile, ti resta addosso qualcosa. In quei giorni hai sentito suonare un campanello d’allarme, che ti ha messo in guardia perché stavi impedendo all’organismo di concludere una cosa che avevi iniziato». C’è una parte molto peggiore del dolore fisico, ammette Mara. «C’è qualcosa di peggio. È stato quando sono andata in bagno per una semplice pipì, lì ho espulso tutto e ho visto il feto». Mara sgrana gli occhi, aprendo le mani come se avesse tra le dita un gomitolo. «Era grande così e non me lo dimenticherò mai». «Ci pensa spesso?», le domandiamo. «Sempre. Soprattutto al momento in cui ho visto il feto. Lì sei veramente sola anche se c’è qualcuno che ti sta a fianco, perché sei tu che hai dentro un figlio e sei tu che sei stata felice in quei mesi in cui te lo sentivi dentro». «Noi donne – è convinta Mara – siamo fatte anche fisicamente per la maternità, il nostro organismo sta bene quando ospita, e quando abortisci e induci le contrazioni gli fai fare qualcosa che è contro la sua natura.
Ti tiri via una parte di te e ti senti svuotata.
 E sono convinta che con la violenza dell’aborto farmacologico lo senti anche di più».
Dev’essere per questo che la ragazzina di Empoli che un anno fa ha abortito con la Ru486 non vuole parlare con Tempi e la sua mamma che si era aperta alle volontarie del Cav della città ha poi deciso di tacere: non se la sentiva più di ripercorrere un’esperienza così dolorosa. «Credo che sia così», risponde Mara risollevando lo sguardo. «Non si parla tranquillamente di una cosa del genere, anche la mia storia la conosce appena il mio ragazzo». Mara ha deciso di parlare con Tempi, sapendo che non sarebbe stato facile rivivere quell’«esperienza che ti porti addosso per sempre, perché spero davvero che la mia storia serva a far sapere la verità su questa pillola». 
Testimonianza di una donna che ha usato la ru486 Tempi.it


sabato 8 giugno 2013

CAV a Cassano Magnago-Varese

Grazie alla segnalazione della mia cara amica Debora ho il piacere di aggiornarvi sulla presenza di un centro aiuto per la vita qui vicino a noi!

Nella nostra zona di Gallarate, opera il C.A.V. a Cassano Magnago che è una delle 260 Sedi operanti in Italia, nelle quali si può trovare aiuto, competenza e comprensione in tutte le situazioni dove una nuova vita non desiderata o non voluta è motivo di gravi preoccupazioni economiche, sociali o psicologiche, che talora possono spingere anche alla soppressione della nuova vita. 
     Le persone che collaborano nel C.A.V. non si impegnano per "qualcosa" (lire od euro che siano, dato che sono tutti volontari), ma per "Qualcuno" e noi vogliamo ringraziare queste persone che pur rimanendo sconosciute ai più, collaborano con Dio nel "salvare" l'uomo, soprattutto il più debole ed indifeso.
Il C.A.V. di Cassano Magnago si interessa soprattutto ai problemi dell'ambito dei Comuni del Decanato di Gallarate, ma può fornire gli indirizzi di altri Centri in Italia.

     Uniamo indirizzo e telefono. Chi volesse dare la propria disponibilità e il proprio sostegno economico si può rivolgere per informazioni ai seguenti numeri telefonici. Questo vale anche perchi avesse qualche problema per una nuova vita che nell'annunciarsi presenta anche gravi difficoltà sul piano economico, sociale o psicologico.
C.A.V. di Cassano Magnago (VA) - Associazione ONLUS
Piazza S.Giulio n. 17
Tel. 0331/200438 - 201406

oppure: S.O.S. VITA -
  ' Numero verde 8008-13000

Una testimonianza particolare

Ecco ora un'altra testimonianza, si tratta de: "L'EDITORIALE" della rivista "Sì alla vita".
E' di Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita Italiano 
(www.mpv.org ). 
     Per una volta, l’editoriale è dedicato al racconto di un fatto. Perché i fatti dicono più di tanti discorsi. E questa è storia di una donna, malata di mente, che contro tutto e tutti accetta la gravidanza cha avanza in lei. E questo la porta a riconciliarsi col mondo e con la sua esperienza passata 

     I fatti parlano più delle teorie,
Questa volta nel mio editoriale voglio raccontare un fatto. M'è capitato di visitare in una città d'Italia (mi è stato chiesto di mantenere l'anonimato e quindi non dire di che città si trattasse e cambierò anche i nomi delle persone) una splendida istituzione che accoglie persone malate di mente.
     Mi colpiscono subito il sorriso e la gioia dirompente delle due suore che mi ricevono. Gli ambienti non sono soltanto puliti e ordinati, sono anche gradevoli: si susseguono salottini e sale di riunione. Niente a che vedere con lo squallore, talvolta orrendo, dei vecchi manicomi.
     Passiamo tra malate e malati che stringono la mano, baciano le suore, le abbracciano. Mi colpisce una donna che, avvicinando il suo viso a quello di una delle due suore, dice: “Ti voglio sempre bene. Non dimenticherò mai quello che abbiamo pianto insieme!".
In seguito chiedo spiegazioni alla suora. La malata è schizofrenica, ha 40 anni. Alle spalle un aborto volontario e due figli che le sono stati tolti e dati in adozione. Una nuova gravidanza. Pesanti interventi dei medici e dei familiari perché abortisse. Dicono i primi: "è meglio che si liberi del figlio, ha già subìto pesanti sconvolgimenti psichici e non potrebbe sopportare il nuovo trauma del parto e del distacco!".
Dicono i secondi: "lei non è in grado di decidere. Siamo noi che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Lei deve abortire". Cosi l'intervento è deciso per una certa mattina.
La suora dell'istituto che sto visitando viene a saperlo dai medici, dai familiari e dalla stessa ospite la sera prima. Non ne aveva mai parlato e non sapeva neppure che la donna fosse incinta...
"Sa, mi dice, in queste cose dobbiamo entrare con delicatezza, in punta di piedi. Altrimenti ti accusano di plagio. ma quella sera la ragazza era inquieta; appariva recalcitrante, incerta. Perciò le ho chiesto: "ma tu, che vuoi?” e agli altri ho detto: "deve scegliere lei!”. A quel punto lei mi ha detto "se tu mi tieni per mano, allora non ho paura dei miei parenti e dei medici".
L'ho presa per mano; gli altri si sono inquietati e hanno persino minacciato. "La responsabilità è vostra" dicevano i fratelli "noi ce ne laviamo le mani. Non chiedeteci più aiuti di nessun tipo".
Così la ragazza è venuta a dormire nella mia camera e le ho tenuto la mano per tutto il tempo. E' nata alla fine una bimba, Maria.
I medici avevano detto che i farmaci somministrati alla paziente erano pericolosi per la bambina. Così lei per tutta la gravidanza non ha assunto medicine, con conseguenze facilmente immaginabili anche dal punto di vista della sofferenza fisica. Alla nascita ha voluto che la figlia fosse data in adozione, ma ha chiesto ed ottenuto di averne una fotografia e di poterla tenere un po' in braccio. Ora dice spesso: "Le ho dato la vita, le ho dato un nome, so che sta bene. So che la Madonna la proteggerà perché le ho dato il suo stesso nome". Va detto che da quando ha accettato la gravidanza la nostra paziente è più calma, ha una vita di relazione più significativa. Dare la vita le ha attenuato gli effetti traumatici dei parti precedenti”.
     Mi pare bello raccontare questo episodio. Vien fatto di chiedersi, in certe situazioni, chi sono i sani e chi i malati di mente? Non posso dire il nome della donna quarantenne che ho incontrato, ma lo ricorderò sempre. E mi piace dedicare questo editoriale a lei ed alle due suore gioiose, festose, entusiaste e sorridenti in mezzo ai malati di mente e - ma di questo parleremo un'altra volta - ai malati terminali di tumore che vengono accolti e affettuosamente seguiti in un altro reparto della medesima casa.

Carlo Casini - luglio 2004 
 

venerdì 31 maggio 2013

Video di una mamma senza braccia: una super mamma!

Quante volte noi mamme ci lamentiamo per la mole di lavoro e l'impegno che richiedono i nostri bimbi, soprattutto quando sono piccolini? Forse troppe!
Con questo video, siamo portate a riflettere che noi "normodotate"siamo davvero fortunate, mentre altre mamme lo sono meno ma sono ugualmente SUPER!

Qui il video di una mamma che utilizza i piedi per fare tutto cio' che noi normalmente facciamo con le mani: quando le gambe diventano anche braccia!
nel video di pianetamamma


giovedì 30 maggio 2013

W le famiglie numerose!

Oggi mi sento particolarmente vicina a tutti quei genitori che hanno deciso responsabilmente di accogliere più di due figli, per fare della loro famiglia una bella, chiassosa e allegra Famiglia Numerosa!

Ho sottolineato responsabilmente, perchè è proprio questo che ci viene chiesto durante la celebrazione del matrimonio Cristiano Cattolico : " Siete disposti ad accogliere responsabilmente tutti i figli che Dio vi vorrà donare?
Ecco ogni figlio è un dono di Dio e anche la forza , la capacità educativa e la pazienza sono sicuramente Dono di Dio, soprattutto per dei genitori che hanno tanti bimbi!






W le famiglie numerose!!




mercoledì 29 maggio 2013

Anche se piccolissimo, lui dorme dentro di te!

Sul web ci sono tanti video che descrivono il MIRACOLO della VITA intrauterina, ma questo mi ha colpito in modo particolare e ve lo segnalo: Clicca qui!




lunedì 27 maggio 2013

Un Aiuto concreto per le mamme in difficoltà: Associazione Papa Giovanni XXIII

Da Facebook ci arriva una richiesta per aiutare a far conoscere questa Associazione :
 Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Tel: 800035036 servizio maternità difficile

Esperienza di condivisione nel servizio "Maternità Difficile" della Comunità Papa Giovanni XXIII

Sono Franca Franzetti, impegnata nel Servizio Maternità Difficile nato all'interno della Comunità Papa Giovanni XXXIII allo scopo di promuovere la tutela della vita umana fin dal concepimento e di condividere concretamente con donne e coppie che si trovano ad affrontare una maternità indesiderata o in situazioni problematiche. Le donne che si rivolgono a noi sono in genere nelle prime settimane di gravidanza, proprio nel momento più delicato, in cui è normale vivere sentimenti contrastanti, avere paure e sentirsi inadeguate. Viviamo in un tempo in cui si respira un clima diffuso di sfiducia, si è perso il gusto di generare, ci si ferma alle problematiche del vivere quotidiano e si fa fatica ad andare oltre e vedere la grandezza del dono che è la nascita di un figlio. Quando poi questo figlio non è stato desiderato, non è stato programmato, o i genitori hanno qualche difficoltà, il pensare comune è : "MEGLIO NON FARLO NASCERE", come fosse un atto dovuto, una soluzione giusta per evitare un male! Come se la vita di un uomo debba dipendere da un'opzione! Ci si arroga questo diritto a decidere e si incoraggia a farlo, senza minimamente tener conto della realtà: cioè che il bambino esiste già, è vivo e vegeto, è già in relazione con la sua mamma, ormai non può più essere messo in discussione: bisogna solo fare di tutto per garantirgli il suo diritto a nascere e alla sua mamma il diritto a essere messa in grado di portare avanti la gravidanza. Ci sentiamo dire dalle donne che incontriamo: "vorrei tenere il bambino, ma non posso". Spesso subiscono pressioni e ricatti dal marito, dal fidanzato, dai genitori. Vi voglio riportare le situazioni di alcune donne usando le loro stesse parole: "Quando i miei genitori hanno saputo che ero incinta, mi hanno posto questa condizione: o vai ad abortire o vai via di casa" "Eravamo fidanzati e lui non ha accettato la mia scelta di continuare la gravidanza e mi ha lasciato sola" "La mia migliore amica, alla quale ho chiesto consiglio, mi ha detto con forza che non avevo diritto a mettere al mondo un figlio al quale non sarei stata in grado di garantire una famiglia" "Lavoravo in nero, quando ho chiesto di essere messa in regola perché ero incinta, mi hanno mandata via subito" E' nostra esperienza che i 2/3 delle donne che abbiamo incontrato e che erano nel dubbio per la grande solitudine che vivevano e impaurite dai vari problemi pratici, dopo esser state rassicurate di venire sempre accompagnate e sostenute nella ricerca di soluzioni pratiche, hanno scelto, allora sì liberamente, di far nascere il loro bambino. Anche medici e operatori sociali , ai quali lo stato affida il compito di tutelare la maternità, riconosciuta come bene sociale, raramente incoraggiano a proseguire una gravidanza "incerta" per non influenzare la donna, dicono, mentre di fatto non attivandosi a offrire tutti gli aiuti necessari per trovare soluzioni ai problemi, scaricano su di lei ogni responsabilità. La donna, lasciata a se stessa, proprio nel momento in cui avrebbe più bisogno di sostegno, trova intorno a sé il vuoto ed è, in un certo senso come indotta ad abortire.
Per questo riteniamo che l'aborto è una violenza anche contro la donna che si porterà questa ferita per tutta la vita, come ci racconta chi ha fatto questa esperienza così devastante e traumatica per la loro salute. Siamo certi, perché ne abbiamo il riscontro, che se ad ogni donna venisse data un'opportunità di ascolto, aiuti adeguati, incoraggiamento in un clima di solidarietà rassicurante, molti degli 800 bambini che ogni anno qui nella nostra USL sono eliminati con l'aborto legale, potrebbero nascere e far felici le loro mamme e i loro papà,come è successo a Stefano ed Ester che sono qui con la loro piccola Sara per raccontarci la loro esperienza. Un altro forte condizionamento culturale dei nostri giorni è il rifiuto della malattia e della diversità che crea nei genitori l'ansia , indotta anche dai medici stessi, che caldeggiano di fare tutte le indagini prenatali possibili, per conoscere lo stato di salute del bambino. Lo scopo è di decidere se è degno di venire al mondo o se è meglio per lui o per lei essere eliminata, "come estremo atto d'amore" fa credere una mentalità perversa che reputa la qualità della vita più importante della vita stessa. Sappiamo che il 90% dei genitori ai quali è stata fatta una diagnosi prenatale di malattia o malformazione decidono per l'aborto cosiddetto "terapeutico" anche se non cura nessuno: il piccolo viene barbaramente soppresso e la mamma resta comunque nel dolore e nel dramma per non aver saputo o voluto accogliere quel figlio perché malato. Come comunità che ha nelle proprie famiglie tanti figli "speciali", scelti e rigenerati nell'amore perché accolti in tutta la loro preziosità, diamo disponibilità ad incontrare quei genitori, spesso soli e spaventati, che, tra tremendi conflitti, si trovano a decidere della vita o della morte del loro piccolo. Abbiamo costatato che far conoscere direttamente dei bambini affetti dalla stessa patologia diagnosticata al figlio in grembo, aiuta questi genitori ad avere una visione più umana della realtà e la disponibilità di chi vive situazioni analoghe a star loro vicino anche nel futuro, incoraggia ad accogliere un figlio che porta su di sé il mistero della sofferenza, che comunque è mistero che genera vita; come ci racconta Grazia Isaia che da 18 anni vive con Nicola, che soffre di una grave patologia che lo tiene sospeso alla vita con un filo. Franca Franzetti

mercoledì 15 maggio 2013

Dal Concepimento alla Nascita è VITA !

Dal concepimento alla nascita
 e per tutta la Vita noi siamo frutto di un miracolo!

Con questo video , come molti altri che potete trovare sul web, capite realmente cosa accade in una donna ancora prima che scopra di essere incinta!
Il cuoricino del bimbo che si sta sviluppando nel ventre materno inizia a battere dopo circa 15 giorni dal concepimento e quindi al momento del test di gravidanza effettuato dalla Mamma, questo bimbo è già un piccolo in formazione con l'anima e il dna di un adulto: perchè quindi parlare di scelta abortiva con tanta leggerezza, considerando spesso questo bimbo un ammasso di cellule?

Se di scelta si vuole parlare, io direi di scegliere un sano comportamento sentimentale e sessuale!

Basta con gli aborti facili, basta con questi omicidi, basta!

 E' ora di dare voce a questi piccoli embrioni che vorrebbero solo gridare: 

TI VOGLIO BENE MAMMA, GRAZIE PER AVERMI DONATO LA VITA!


lunedì 13 maggio 2013

Dona la Vita


Se hai visitato questo blog e hai voglia di condividere la tua opinione sulla vita nascente scrivimi a questo indirizzo:
verokka78@hotmail.it

Sto cercando storie di chi ha rinunciato ad abortire, se hai voglia di raccontarmi la tua storia scrivimi, sarà sicuramente d'aiuto per qualcuno che magari si trova in difficoltà o che ha bisogno di un consiglio!

domenica 12 maggio 2013

La pillola abortiva RU486

Non fatevi ingannare.

 La pillola abortiva RU486 non è affatto un’alternativa dolce all’intervento chirurgico. 

Le pillole da prendere, in realtà, sono due:

con la prima si uccide il feto,
 con la seconda, da assumere due giorni dopo,
si causano le contrazioni necessarie per la sua espulsione.

Questo è un bimbo, non un ammasso di cellule!!!




Questo sistema per procurare l’aborto chimico viene spacciato come un metodo più semplice e psicologicamente accettabile di quello chirurgico. Un metodo più moderno, più rispettoso dell’integrità fisica e psichica della donna, meno invasivo e meno rischioso. In realtà, l’esperienza di molte donne che sono ricorse alla RU486 racconta un’altra storia.

Dopo che hai ingoiato la prima pillola, sai che quel giorno stesso tuo figlio morirà, e resterà attaccato lì, morto, dentro il tuo ventre. Il suo cuoricino, che il giorno prima hai ascoltato durante l’ecografia, smetterà di battere. Per sempre. È l’effetto della prima pasticca, che tu devi mettere in bocca da sola, perché da sola sei lasciata a sopprimere quella vita che tu stessa hai deciso di eliminare.

Lo capisci subito la sera stessa che quel figlio è morto, perché senti improvvisamente sparire tutti quei segni di gravidanza che le donne ben conoscono, primo fra tutti il seno più turgido, e quella piccola tensione del basso ventre tipica dei primi mesi di gravidanza.

Poi viene il momento peggiore: quello dell’attesa. Devi aspettare tre lunghi giorni, nei quali continui a fare quello che hai sempre fatto, lavorare, camminare, mangiare, dormire, andare al cinema. Cerchi di distrarti, ma sai che hai quel “coso” morto lì dentro che deve essere eliminato, espulso, cioè abortito.


In quei tre giorni, poi, hai tutto il tempo per pensare e riflettere su quello che ti è accaduto e che ti accadrà, hai il tempo per pregare e per piangere. Ti senti una specie di assassina in libertà e ti chiedi perché mai hai accettato questo maledetto metodo. Arrivi persino a pensare che forse sarebbe davvero stato meglio far fare tutto al medico. In anestesia, in sala operatoria, non avresti sentito né provato nulla, ti saresti risvegliata pulita e liberata dal tuo problema. Tutto sarebbe durato meno di un’ora.

Invece, dopo quei tre lunghissimi giorni di attesa, devi ripresentarti in ospedale per la seconda pillola, nella speranza che tutto finisca più in fretta possibile. Anche quella pasticca ti viene messa in mano e sei tu che la devi mandare giù. Sei tu l’unica e sola mandante e autrice di un piccolo omicidio, quello del tuo figlio mai nato, e senti che una parte di te sta per sparire per sempre, che non tornerà mai più ed è una sensazione solo tua, di solitudine, che non condividi nemmeno con l’anonima infermiera che ti consegna la pillola nella garza sterile. A quel punto però la ingoi subito perché speri che tutto finisca più in fretta possibile.

Non sai ancora che, da quel momento, ti prepari ad assistere, a partecipare e a effettuare il tuo “avveniristico” aborto terapeutico. Intanto, oltre alla situazione dolorosa, vieni pervasa dall’ansia dell’arrivo dei dolori fisici. I medici ti spiegano che si tratterà di una sorta di minitravaglio, con qualche contrazione uterina, lievemente dolorosa, ma essenziale per provocare il distacco del feto, ormai morto, dalla parete uterina e per la sua espulsione, e che comunque sarebbe stato eliminato facilmente, misto con del sangue. I medici ti spiegano che sarà come avere delle mestruazioni più dolorose del solito.

Invece il dolore è molto più forte, le contrazioni molto più lunghe e la consapevolezza di quello che sta avvenendo rende tutto più nauseante, orribile e terribile insieme. E assistere a tutto questo diventa insopportabile. Piangi per il dolore fisico, ma soprattutto per il dolore dell’anima, per la partecipazione attiva a un evento che mai avresti voluto vivere e osservare da così vicino.


Poi, quando tutto è finito, quando tutto è compiuto, la procedura ti obbliga anche a verificare di persona che effettivamente l’aborto farmacologico sia ben riuscito, per cui ti viene effettuata l’ecografia di controllo, che trasmette dallo schermo l’immagine pulita del tuo utero non più “abitato”, ma vuoto e libero dal corpo estraneo che si è voluto medicalmente eliminare. Non si sente più nessun battito galoppante, nessun segno di vita, ma solo silenzio di morte. E un infinito, straziante senso di colpa.


La descrizione che ho fatto non è frutto di creatività letteraria ma corrisponde, purtroppo, alla drammatica testimonianza resa da una mia collega, un’avvocatessa di trentaquattro anni, che ha avuto la disavventura di ricorrere all’aborto chimico cinque anni fa, quando la Regione Toscana ha deciso di attuare la somministrazione della RU486 in via sperimentale. La testimonianza rende drammaticamente l’idea di quanto poco di “dolce” ci sia nella tanto decantata pillola abortiva RU486.

 Tratto da "Io sono contro l’aborto e tu?" Facebook

sabato 11 maggio 2013

Un'altra storia per riflettere!


Ecco una nuova testimonianza da leggere

Mi è stata inviata da una mia amica, via mail....
(Se le persone di questa storia volessero contattarmi, io ne sarei felice!)


La storia di Teresa Benedetta

La testimonianza di una gravidanza particolare, vissuta nella fede. Racconta Elisabetta: "Posso dire che il Signore in quindici anni di matrimonio con Goffredo ci ha sempre sostenuti, protetti ed affiancati". 

Mi chiamo Elisabetta, sono sposata da quindici anni con Goffredo ed insieme abbiamo avuto nove figli, di cui quattro in cielo e cinque viventi. Posso dire che il Signore in quindici anni di matrimonio ci ha sempre sostenuti, protetti ed affiancati, ma nell’ultima gravidanza si è manifestato a noi e ai nostri figli veramente con "braccio potente". A luglio del 2002 ci trovavamo in vacanza al mare, quando trascorsa la prima settimana ho incominciato ad avere il sospetto di essere di nuovo incinta. Velocemente ho fatto il test di gravidanza, ed ho potuto verificare che non mi ero sbagliata. 

L’idea di poter abbracciare di nuovo un altro bambino mi riempiva di gioia, ma quella di dover aspettare nove mesi mi rattristava, perché nelle precedenti gravidanze avevo avuto sempre minacce di aborto; pensare di dover di nuovo mettermi in poltrona non mi piaceva affatto. Dato che stavo al mare, ho incominciato a star ferma sotto l’ombrellone. Mio marito, che ama leggere i libri dei santi, presso la biblioteca comunale aveva preso un libro che raccontava la storia di Edith Stein, un’ebrea convertita al cristianesimo che è morta nei campi di concentramento ad Auschwitz. 

Come potete immaginare, storia molto "allegra" e "divertente" che avrei voluto tranquillamente evitare di conoscere, ma mio marito ogni tanto mi riferiva qualche fatto accaduto nella vita di questa santa. Per cui mi è rimata impressa in mente la foto della stessa vestita da suora che stava sulla copertina del libro. Passati i quindici giorni di vacanze al mare, siamo ritornati a casa e la sera stessa; giusto il tempo di scaricare le valigie, subito di corsa all’ospedale perché arrivavano le avvisaglie delle minacce di aborto. 

In questa ecografia mi sono sentita tanta amata dal Signore, perché a me piacciono tanto le belle sorprese e il Signore me ne ha preparata una: portavo in grembo due gemelli! Non vi dico la contentezza e la gioia nel vedere quelle due camerette gestazionali, una vicina all’altra! Non vi dico le risate con mio marito nel dare la notizia ai figli e ai nonni ... in un attimo la vita era diventata straordinariamente divertente e ricca di avvenimenti! Ci sentivamo felici, anche se per il resto del mondo eravamo degli emeriti incoscienti e irresponsabili! L’onore di avere due gemelli però svanì presto, quando nel ripetere l’ecografia nel secondo mese di gravidanza, la dottoressa ci disse che uno dei due feti si era spento e che si sarebbe riassorbito piano piano, senza vedersi più! Questa notizia ha rattristato molto noi e i nostri figli; è anche vero che non so come il mio utero, così fragile avrebbe potuto resistere a tanto peso! Per cui, certi che il Signore è padrone della vita e della morte, gli abbiamo affidato la vita dell’altro gemello ancora vivo. 

Arrivati più o meno al quinto mese di gravidanza, era arrivato il tempo di fare l’ecografia morfologica, quella tanto temuta da tutti perché lì si vede se il bambino presenta qualche problema. Io e mio marito quella mattina ci siamo recati all’ospedale contenti perché finalmente potevamo conoscere il sesso della quinta "copia" della nostra famiglia. Ma qui il Signore aveva preparato una sorpresa non bella, questa volta! Come la dottoressa ha appoggiato il monitor sopra la mia pancia, si è fermata, rimanendo perplessa, e incomincia a chiedere se qualcuno mi ha mai consigliato di fare l’amniocentesi. Io chiaramente ho risposto di no, ma di fronte alla mia faccia insospettita, la dottoressa ha detto: "Qui appare chiaro un problema molto grave! Andiamo subito al sodo o preferisce che parta da lontano?" 

Io nella vita sono molto concreta, e mi piace in genere affrontare la realtà così come si presenta, per cui le dico tranquillamente di andare al sodo! "Vede signora, questa è la testa del bambino e qui dentro appare tutto nero! Sa cos’è questa? È tutta acqua! È sa cosa significa? Che manca metà cervello!". Silenzio di tomba … Io timidamente dico: "Vuol dire che è un bambino cerebroleso?"... "Sì, signora; per cui, data la gravità della situazione le consiglio vivamente di abortire; anche la legge in questi casi ammette l’aborto, anche perché sicuramente, in queste condizioni non potrebbe arrivare alla nascita!". Sempre molto timidamente, e dopo un breve sguardo con mio marito, dico: "Ed il resto del corpo non lo guarda? Si ferma qui?"... 

Così ha proseguito l’ecografia del resto del corpo, sicura, la dottoressa, di trovare un’altra malformazione; invece, niente. Il corpo era perfetto: si vedeva benissimo che era una femmina, il cuore batteva molto bene, le dita delle due mani e dei due piedi, dopo essere state contate due volte, erano tutte, i reni erano perfetti, non aveva la spina dorsale bifida, il profilo del visetto era perfetto, anche gli occhi ed il naso erano in asse … era tutto perfetto, tranne quella testolina che appariva completamente nera! Mentre la dottoressa continuava ad insistere sulla assoluta necessità di un aborto terapeutico, io e mio marito d’intesa, ci siamo opposti. Allora per convincerci, ci ha fissato un appuntamento presso un centro diagnostico in un’altra città regionale dove grazie ai macchinari più sofisticati, ci avrebbero convinto sul da farsi. 

Ritorniamo a casa e varcata la soglia, abbiamo abbracciato forte i figli che ansiosi ci stavano aspettando e siamo scoppiati a piangere. Abbiamo spiegato loro che la testa era nera e che la bambina, forse, non sarebbe arrivata alla nascita, e, se ci fosse arrivata sarebbe morta poco dopo, o comunque avrebbe avuto degli handicap gravissimi. Dopo questa spiegazione fatta in lacrime, una delle figlie dice: "Forse non potrà camminare? Non importa, la aiuterò io!". Ed un’ altra:" Forse non riuscirà a prendere la pappa? Non ti preoccupare, gliela darò io!". Di fronte a queste reazioni positive e poco scandalizzate, da parte dei figli, ho preso coraggio ed ho telefonato alla catechista del cammino di fede di cui facciamo parte io e mio marito. 

E qui il Signore, attraverso le parole di questa sorella, mi ha colmato di speranza: "Elisabetta, non ti fermare davanti a questa ecografia, aspetta la prossima perché questi si potrebbero essere anche sbagliati! Poi, se così fosse, questa bambina con problemi ha bisogno di amore più degli altri, va amata più degli altri! Tu hai la possibilità di amare Gesù Cristo sulla croce in casa tua, tutti i giorni attraverso questa bambina che Dio ti ha donato. Non pensare male di Dio, pensa, invece, che questa è una benedizione per te, tuo marito e i vostri figli; e che attraverso questa croce, voi otterrete la vita eterna. Sai, siamo tutti molto moralisti e pensiamo che abbiamo commesso qualche colpa grande, per cui Dio ci castiga, mandandoci, per esempio, un figlio handicappato. Invece, non devi pensare male di Dio, anzi, incomincia fin da adesso, a benedire Dio per la storia che sta facendo con te e la tua famiglia. Coraggio e vai a fare l’altra ecografia!". 

L’ecografia successiva era fissata a distanza di tre giorni. Nel frattempo, priva di forze e di voce, incomincio a dare questa notizia ai nostri genitori, ai fratelli della nostra comunità e a tutti i presbiteri che conosco. La mia reazione è stata quella di chiedere aiuto a tutti quelli che potevano pregare. Non ho mai creduto al miracolo, per cui non chiedevo il miracolo, ma che il Signore potesse darmi la forza di entrare nella Sua volontà, di abbracciare questa croce. Il giorno dopo mi sono alzata contenta, ma perplessa perché avevo fatto un bel sogno: avevo sognato che mentre camminavo lungo una strada, sentivo qualcuno che mi chiamava, mi giravo e vedevo una suora che sorridente mi veniva incontro, mi abbracciava forte ed era molto contenta. 

Tempo di aprire gli occhi e di pensare un minuto… la riconosco: quella donna era uguale alla foto riprodotta sul libro di questa estate … Edith Stein vestita da suora, quindi non più l’ebrea, ma la carmelitana che ha preso il nome di suor Teresa Benedetta dalla Croce. Ricevuta la notizia, mio marito si è "offeso", perché era lui che doveva sognare questa Santa di cui aveva letto la vita e dalla quale era rimasto affascinato! Ma la suora si è presentata a me! Domanda: sarà stato un sogno profetico? Cosa voleva dire? Una cosa era sicura... la suora rideva contenta, quindi non era un brutto sogno! Io non l’ho raccontato a nessuno perché non volevo illudermi e così è rimasto un segreto all’interno della mia famiglia. 

Andiamo a fare la seconda ecografia e dopo un silenzio di tomba la dottoressa ci dà la risposta: "Il problema è molto grave. Si tratta di un’ idrocefalia molto importante. Il cervello non si vede bene, forse c’è. Manca sicuramente il corpo calloso. In questi casi consigliamo vivamente l’aborto terapeutico! Si tratta di una patologia rarissima; le statistiche dicono che in alcuni casi il 40% muore alla nascita, in altri il 70% vegeta o ha comunque handicap gravissimi. Se non volete abortire non so a quale centro specializzato potete rivolgervi. Non li conosco…forse qualcosa a Bologna… ma non so...". Con il cuore a terra e le lacrime agli occhi ce ne ritorniamo a casa. 

Mentre me ne sto sola in cucina, il Signore mi apre una strada. Mi ricordo di una mia compaesana, amica d’infanzia di mia sorella che non so da quanti anni vive a Roma perché laureata all’Università Cattolica del Sacro Cuore, e successivamente rimasta a lavorare come neurologa al Policlinico Gemelli. Non ricordo come, rintraccio il suo nome, la chiamo, e per grazia di Dio la trovo a casa: fatto molto raro, perché è sempre in ospedale a lavorare. La chiamo, si ricorda di me, le leggo l’ecografia e le chiedo se può fare qualcosa. Mi richiama dopo un’ora e mi dice che ha preso appuntamento; mi dovevo presentare tre giorni dopo al Policlinico Gemelli, presso il Day Hospital della ginecologia che si trovava al quarto piano. Lì mi avrebbe aspettato il prof. Noia, che si occupa proprio dei casi come il mio. 

L’incontro con questi è stato al di sopra delle mie aspettative e non lo dimenticherò mai. Mi ha accolto con molta gentilezza e con il sorriso sulle labbra, mi ha fatto l’ecografia e con amore fraterno mi ha spiegato che era un caso di idrocefalia molto serio, che il cervello era intero; forse mancava il corpo calloso, ma eventualmente questo sarebbe stato un problema minore rispetto all’importanza dell’idrocefalo. Mi ha incoraggiato tantissimo e mi ha dato la possibilità di vivere il resto della gravidanza con serenità. Infatti mi ha detto che finché la bambina sarebbe rimasta nel grembo materno, il cervello non avrebbe subito pressioni dal liquido cerebrale, per cui non avrebbe avuto danni dal momento che il corpo è immerso nel liquido amniotico. Il problema della pressione sul cervello si sarebbe posto al momento della nascita. Per il momento la cosa più importante, era arrivare il più possibile al termine della gravidanza, perché una volta nata, la bambina sarebbe stata operata al cervello ed era importante, a quel punto, avere sottomano una bambina robusta e abbastanza forte da superare l’intervento di neurochirurgia. 

Da quel giorno il dottore mi ha dato appuntamento una volta al mese, per poter tenere sotto controllo ecografico l’andamento del liquido cerebrale. Da quel giorno in poi, la mia gravidanza è stata più che mai messa nelle mani di Dio. La voce di questo fatto si è diffusa per tutto il paese in cui vivo e risiedo; tutte le comunità neocatecumenali di nostra conoscenza sono state messe al corrente, così che tutti hanno pregato. Persino il vescovo della diocesi mi ha assicurato la sua preghiera quotidiana. Ancora oggi che sono passati quattro anni, vengo a conoscenza di persone che senza conoscermi hanno pregato per la mia bambina. 

Al termine dell’ottavo mese i medici hanno pensato di farmi fare la risonanza magnetica per vedere meglio la situazione. Per questo motivo, io e mio marito abbiamo trascorso tre giorni a Roma ed abbiamo approfittato per pregare sulla tomba di San Pietro e su quella di papa Giovanni XXIII. Dalla risonanza magnetica è risultato che l’idrocefalia era molto importante, che il cervello c’era tutto, forse mancava l’ultimo pezzo del corpo calloso. La bambina non sarebbe morta alla nascita, ma avrebbe avuto comunque degli handicap non si sapeva di quale entità, ma ci sarebbero stati sicuramente! Un dottore ci ha detto: "Qui ci vuole un miracolo! Noi ci crediamo, ma ci vuole un miracolo!"... 

Finalmente arriva la fine di gennaio, è tempo di partorire. I medici mi hanno tenuta ricoverata una settimana prima del parto, per poter affrontare tutto tranquillamente e poter tenere pronta la sala operatoria anche per la bambina in caso di imminente urgenza. Nel reparto c’erano altre gestanti che avevano in grembo bambini con problemi più o meno gravi del mio, quindi non mi sono sentita "un caso a parte", ma un caso in mezzo a tanti altri. Ho stretto amicizia con alcune di loro e ci siamo incoraggiate a vicenda riscoprendo insieme l’unica fede in Gesù Cristo. Il giorno prima dell’intervento il Signore mi riserva una di quelle sorprese che piacciono a me. Mi viene a trovare il neurochirurgo che avrebbe operato mia figlia: una persona molto calma e sicura alla quale con altrettanta calma dico: "Dottore, io voglio essere pronta a tutto ciò che può capitare domani alla mia bambina! Mi dica lei come pensa di procedere una volta che è nata". E lui mi risponde: "Ma … una volta che la bambina è nata la teniamo sotto osservazione e se si presenta abbastanza sveglia e forte non la operiamo subito. Poi, una volta operata, le conseguenze, se ci saranno, verranno fuori man mano che cresce. Io le posso dire che statisticamente stiamo vedendo che i bambini, poi, alla fine risultano normali e conducono un vita come tutti gli altri: possono fare sport, vanno a scuola normalmente e crescono molto bene!". Non credevo alle mie orecchie! Avrei avuto una bambina normale!?! Ma allora il sogno che avevo fatto di suor Teresa Benedetta era vero ... Era stato profetico! Ebbene sì: posso confermare che così è andata! 

La mia bambina Teresa Benedetta è nata il 6 febbraio 2003 ed è stata operata al cervello durante il primo anno di vita per tre volte. La prima aveva ventotto giorni: un intervento rischioso, ma riuscito molto bene! Poi intorno a sei mesi di vita è stata sottoposta ad un secondo intervento. Infine, ad un anno di vita è stata operata di nuovo e le è stata messa una valvola che le permette di drenare il liquor spinale in eccesso. Oggi Teresa Benedetta ha quattro anni, è una bambina normale, frequenta il primo anno della Scuola materna ed è felicissima di essere nata e di vivere. Fa psicomotricità fin dai quattro mesi di vita e questo le ha permesso di sviluppare appieno tutte le sue potenzialità. È molto socievole e serena: è la gioia della nostra famiglia! Ogni sei mesi andiamo a Roma per i controlli, ma per noi è diventata una gita di piacere! 

- Un grazie innanzitutto a Nostro Signore Gesù Cristo che ha avuto misericordia di noi.
- Ai nonni e agli zii che ci hanno tenuto gli altri figli mentre noi stavamo a Roma e che ci sono stati molto vicini.
- Grazie alla nostra comunità neocatecumenale che ha pregato per noi anche di notte.
- A tutte le comunità ed ai catechisti.
- Grazie a tutte le persone che di propria iniziativa, solo per aver conosciuto il fatto, hanno pregato per noi.
- Un grazie alle suore San Giuseppe che oltre ad aver pregato, seguono nella loro scuola materna la nostra bambina.
- Un enorme grazie alla dottoressa del policlinico Gemelli che per prima ci ha aperto le porte di questo ospedale.
- Un grazie alla società presso cui lavora mio marito che ci ha rimborsato gran parte delle spese di viaggio ed anche ai colleghi di lavoro che ci hanno dimostrato affetto e comprensione nei momenti più difficili.
- Un grazie al nostro vescovo che ha poi battezzato Teresa Benedetta per immersione nella veglia di Pasqua 2003.
- Infine, un grazie a Santa Teresa Benedetta dalla Croce che per prima ha chiesto a Dio il miracolo da parte nostra.


Goffredo, Elisabetta, Matteo, Maria Chiara, Caterina, Agnese, e Teresa Benedetta


Difendiamo la vita: marciamo contro l'aborto!

Ecco un'articolo tratto da  primapaginanews.it che ci ricorda la marcia di domani a Roma:


 Roma: 12 maggio mobilitazione pro-life a Marcia per la vita

Roma - 10 mag (Prima Pagina News) Tutto è pronto per la III Marcia Nazionale per la Vita del 12 maggio a Roma. Alla grande mobilitazione parteciperanno numerosissime realtà pro-life di tutta Italia. I gruppi che hanno dato l’adesione comprendono Istituti religiosi, parrocchie, associazioni laicali. Sono oltre quaranta le città italiane da cui partiranno pullman alla volta di Roma per ribadire un fermo e deciso no all’aborto e alla legge 194 e un grande e gioioso sì alla vita. A sfilare sarà dunque un corteo festoso e pacifico, con la presenza di famiglie, bambini e tanti giovani. Quest’anno la novità è rappresentata dalla presenza di molte delegazioni straniere, provenienti da tutto il mondo. In particolare, interverranno alla Marcia la neo-presidente della storica March for Life di Washington, Jeanne Monahan, che a gennaio ha portato nella capitale statunitense ben 650mila persone, e la presidente del movimento Live Action, Lila Rose, nota per la sua lotta senza quartiere all’associazione abortista Planned Parenthood. Entrambe donne e giovani. La mobilitazione di Roma avrà così un respiro internazionale, inserendosi nel contesto delle marce per la vita che da decenni si tengono in tutti quei Paesi dove sono state approvate leggi abortiste. Tra le personalità estere di rilievo, si segnalano anche il dottor Xavier Dor, finito più volte in carcere per le sue battaglie a difesa della vita e Nicholas Windsor, figlio della duchessa di Kent e nipote della regina Elisabetta. Anche a questa edizione, inoltre, parteciperà Gianna Emanuela Molla, figlia di santa Gianna Beretta Molla. Ha infine assicurato la sua presenza il sindaco di Roma Gianni Alemanno. Numerose le adesioni e i messaggi di sostegno e incoraggiamento di varie personalità ecclesiastiche. Tra gli ultimi calorosi e auguranti messaggi inviati al Comitato organizzativo della Marcia si segnalano mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Luigi Negri, vescovo di Ferrara, mons. Giuseppe Zenti, vescovo di Verona e il card. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita. A marciare vi sarà il card. Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Altri prelati che appoggiano la Marcia e che saranno a Roma, partecipando al convegno sulla bioetica che si svolge il giorno precedente presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, vi sono il card. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna e mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste. Incoraggiamenti all’iniziativa sono giunti inoltre da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; mons. Adriano Bernardini, nunzio apostolico in Italia; mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia. Tutti i vescovi sottolineano l’importanza di mobilitarsi a favore della vita, valore supremo che va difeso dal concepimento alla fine naturale. Il card. Sgreccia, che sosterrà l’iniziativa con la preghiera, ha invitato il “popolo della vita” a compiere ogni sforzo “per ridurre il male dell’aborto e per promuovere una radicale modifica della legge”. Mons. Zenti, da parte sua, ha rilevato che “ogni società che non rispetta la vita come valore fondativo della convivenza umana è destinata al declino”. La Marcia per la Vita è allora, come scritto da mons. Paglia, “un gesto per risvegliare le coscienze, per testimoniare la propria convinzione di fede, ma anche per mobilitare gli uomini di buona volontà in difesa della vita e mantenere vivo nella società il rifiuto dell’aborto”. Come per gli anni passati, il Comitato organizzatore tiene a precisare che si tratta di una manifestazione aconfessionale e apartitica e come tale aperta a tutti gli uomini di buona volontà che condividono però l’urgenza e la necessità di difendere il diritto alla vita. La Marcia partirà dal Colosseo alle 9 e si concluderà a Castel Sant’Angelo verso le 11,30. Sabato 11 maggio si terrà alle 20,30, presso la Basilica dei SS. Apostoli, una veglia di preghiera, presieduta da S.Em.za il card. Burke, in riparazione del crimine dell’aborto, con adorazione eucaristica e recita del santo Rosario. 

domenica 21 aprile 2013

Aborto terapeutico....l'aborto non è una soluzione!

Ecco parte di un articolo tratto da pianeta mamma.it, aiuta a riflettere!

Con la sentenza n° 14488 del 29 luglio 2004 la Corte di Cassazione ha affermato che: “la interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) e grave successivamente” ed in conseguenza il Supremo Collegio ritiene che “le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano solo nei termini in cui possano cagionare il danno alla salute della gestante e non in sé considerate, con riferimento al nascituro”.A conferma viene richiamato l’art. 1 della L. 194/78, il quale, secondo la Cassazione “pur riconoscendo il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, … una volta intervenuto il concepimento, ricollega l’interruzione della gravidanza esclusivamente alle ipotesi normativamente previste in cui sussista un pericolo per la salute o per la vita della gestante”.Nella stessa sentenza si affrontano i problemi dell’eugenetica, e del così detto “diritto di non nascere se con la nascita si ha poi una wrongful life (una vita non degna)”.La Corte ritiene che nel nostro ordinamento non esista l’aborto eugenetico; la legge tutela il concepito e quindi l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita e non verso la non nascita, per cui se di diritto vuol parlarsi, deve parlarsi di diritto di nascere.
Le motivazioni sono di particolare importanza. Il convincimento della Corte è ancorato in particolare all’art. 54 Codice Penale (stato di necessità), secondo cui con riguardo alla L. n° 194/78 “il diritto che ha la donna è solo quello di evitare un danno (serio o grave, a seconda delle ipotesi temporali) alla sua salute o alla sua vita”.

Le malformazioni fetali non fanno sorgere un diritto all’aborto
, ma sono rilevanti “solo per concretizzare il pericolo alla salute e alla vita della gestante e permettere alla stessa di avvalersi della esimente costituita dalla necessità di interruzione della gravidanza”; chiarissima, poi, la conseguenza: “l’aborto non è l’esercizio di un diritto della gestante, ma un mezzo concesso a lei (e solo a lei) per tutelare la sua salute o la sua vita, sopprimendo un altro bene giuridico protetto (il diritto a nascere del concepito)”.La suddetta sentenza della Cassazione è stata confermata dalla più recente sentenza n° 16123 del 14 luglio 2006 nella quale con molta chiarezza si stabilisce che, ai sensi dell’art. 6 lett. b) della legge n° 194/78, per procedere alla interruzione della gravidanza dopo il novantesimo giorno non basta che siano presenti anomalie o malformazioni del nascituro, ma occorre che tale presenza cagioni processi patologici in atto che comportino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre.
Richiamiamo l’attenzione sul fatto che la norma parla di processi patologici che un medico deve accertare; si tratta quindi di malattia, e deve essere anche accertato il grave pericolo per la salute della madre.
Il Supremo Collegio, inoltre, nella sentenza n° 16123/2006 ribadisce chnon è ammesso un diritto “a non nascere” o a “non nascere se non sano”, mentre nel nostro ordinamento è tutelato il diritto del concepito a nascere, anche se affetto da malformazioni.
Infine, è importante tener presente l’insegnamento della Corte Costituzionale che con sua pronunzia del 17-26 novembre 2004 n° 366 (in Giurisprudenza Costituzionale 2004, 3989) ha osservato come per ammettere l’interruzione della gravidanza dopo i primo novanta giorni non sia sufficiente l’accertamento dei processi patologici che comportino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre, ma è necessario che nel caso concreto ricorra una “ulteriore condizione prevista dall’art. 7, comma 3 stessa legge”, e cioè “che non sussista possibilità di vita autonoma del feto”.
Informazioni in parte tratte da http://www.paginemediche.it/