sabato 8 giugno 2013

Una testimonianza particolare

Ecco ora un'altra testimonianza, si tratta de: "L'EDITORIALE" della rivista "Sì alla vita".
E' di Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita Italiano 
(www.mpv.org ). 
     Per una volta, l’editoriale è dedicato al racconto di un fatto. Perché i fatti dicono più di tanti discorsi. E questa è storia di una donna, malata di mente, che contro tutto e tutti accetta la gravidanza cha avanza in lei. E questo la porta a riconciliarsi col mondo e con la sua esperienza passata 

     I fatti parlano più delle teorie,
Questa volta nel mio editoriale voglio raccontare un fatto. M'è capitato di visitare in una città d'Italia (mi è stato chiesto di mantenere l'anonimato e quindi non dire di che città si trattasse e cambierò anche i nomi delle persone) una splendida istituzione che accoglie persone malate di mente.
     Mi colpiscono subito il sorriso e la gioia dirompente delle due suore che mi ricevono. Gli ambienti non sono soltanto puliti e ordinati, sono anche gradevoli: si susseguono salottini e sale di riunione. Niente a che vedere con lo squallore, talvolta orrendo, dei vecchi manicomi.
     Passiamo tra malate e malati che stringono la mano, baciano le suore, le abbracciano. Mi colpisce una donna che, avvicinando il suo viso a quello di una delle due suore, dice: “Ti voglio sempre bene. Non dimenticherò mai quello che abbiamo pianto insieme!".
In seguito chiedo spiegazioni alla suora. La malata è schizofrenica, ha 40 anni. Alle spalle un aborto volontario e due figli che le sono stati tolti e dati in adozione. Una nuova gravidanza. Pesanti interventi dei medici e dei familiari perché abortisse. Dicono i primi: "è meglio che si liberi del figlio, ha già subìto pesanti sconvolgimenti psichici e non potrebbe sopportare il nuovo trauma del parto e del distacco!".
Dicono i secondi: "lei non è in grado di decidere. Siamo noi che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Lei deve abortire". Cosi l'intervento è deciso per una certa mattina.
La suora dell'istituto che sto visitando viene a saperlo dai medici, dai familiari e dalla stessa ospite la sera prima. Non ne aveva mai parlato e non sapeva neppure che la donna fosse incinta...
"Sa, mi dice, in queste cose dobbiamo entrare con delicatezza, in punta di piedi. Altrimenti ti accusano di plagio. ma quella sera la ragazza era inquieta; appariva recalcitrante, incerta. Perciò le ho chiesto: "ma tu, che vuoi?” e agli altri ho detto: "deve scegliere lei!”. A quel punto lei mi ha detto "se tu mi tieni per mano, allora non ho paura dei miei parenti e dei medici".
L'ho presa per mano; gli altri si sono inquietati e hanno persino minacciato. "La responsabilità è vostra" dicevano i fratelli "noi ce ne laviamo le mani. Non chiedeteci più aiuti di nessun tipo".
Così la ragazza è venuta a dormire nella mia camera e le ho tenuto la mano per tutto il tempo. E' nata alla fine una bimba, Maria.
I medici avevano detto che i farmaci somministrati alla paziente erano pericolosi per la bambina. Così lei per tutta la gravidanza non ha assunto medicine, con conseguenze facilmente immaginabili anche dal punto di vista della sofferenza fisica. Alla nascita ha voluto che la figlia fosse data in adozione, ma ha chiesto ed ottenuto di averne una fotografia e di poterla tenere un po' in braccio. Ora dice spesso: "Le ho dato la vita, le ho dato un nome, so che sta bene. So che la Madonna la proteggerà perché le ho dato il suo stesso nome". Va detto che da quando ha accettato la gravidanza la nostra paziente è più calma, ha una vita di relazione più significativa. Dare la vita le ha attenuato gli effetti traumatici dei parti precedenti”.
     Mi pare bello raccontare questo episodio. Vien fatto di chiedersi, in certe situazioni, chi sono i sani e chi i malati di mente? Non posso dire il nome della donna quarantenne che ho incontrato, ma lo ricorderò sempre. E mi piace dedicare questo editoriale a lei ed alle due suore gioiose, festose, entusiaste e sorridenti in mezzo ai malati di mente e - ma di questo parleremo un'altra volta - ai malati terminali di tumore che vengono accolti e affettuosamente seguiti in un altro reparto della medesima casa.

Carlo Casini - luglio 2004 
 

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