Da Facebook ci arriva una richiesta per aiutare a far conoscere
questa Associazione :
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Tel: 800035036 servizio maternità difficile
Esperienza di condivisione nel servizio "Maternità Difficile" della
Comunità Papa Giovanni XXIII
Sono Franca Franzetti, impegnata nel Servizio Maternità Difficile nato
all'interno della Comunità Papa Giovanni XXXIII allo scopo di promuovere la
tutela della vita umana fin dal concepimento e di condividere concretamente con
donne e coppie che si trovano ad affrontare una maternità indesiderata o in
situazioni problematiche. Le donne che si rivolgono a noi sono in genere nelle
prime settimane di gravidanza, proprio nel momento più delicato, in cui è
normale vivere sentimenti contrastanti, avere paure e sentirsi inadeguate.
Viviamo in un tempo in cui si respira un clima diffuso di sfiducia, si è perso
il gusto di generare, ci si ferma alle problematiche del vivere quotidiano e si
fa fatica ad andare oltre e vedere la grandezza del dono che è la nascita di un
figlio. Quando poi questo figlio non è stato desiderato, non è stato
programmato, o i genitori hanno qualche difficoltà, il pensare comune è :
"MEGLIO NON FARLO NASCERE", come fosse un atto dovuto, una soluzione
giusta per evitare un male! Come se la vita di un uomo debba dipendere da
un'opzione! Ci si arroga questo diritto a decidere e si incoraggia a farlo,
senza minimamente tener conto della realtà: cioè che il bambino esiste già, è
vivo e vegeto, è già in relazione con la sua mamma, ormai non può più essere
messo in discussione: bisogna solo fare di tutto per garantirgli il suo diritto
a nascere e alla sua mamma il diritto a essere messa in grado di portare avanti
la gravidanza. Ci sentiamo dire dalle donne che incontriamo: "vorrei
tenere il bambino, ma non posso". Spesso subiscono pressioni e ricatti dal
marito, dal fidanzato, dai genitori. Vi voglio riportare le situazioni di
alcune donne usando le loro stesse parole: "Quando i miei genitori hanno
saputo che ero incinta, mi hanno posto questa condizione: o vai ad abortire o
vai via di casa" "Eravamo fidanzati e lui non ha accettato la mia
scelta di continuare la gravidanza e mi ha lasciato sola" "La mia
migliore amica, alla quale ho chiesto consiglio, mi ha detto con forza che non
avevo diritto a mettere al mondo un figlio al quale non sarei stata in grado di
garantire una famiglia" "Lavoravo in nero, quando ho chiesto di
essere messa in regola perché ero incinta, mi hanno mandata via subito" E'
nostra esperienza che i 2/3 delle donne che abbiamo incontrato e che erano nel
dubbio per la grande solitudine che vivevano e impaurite dai vari problemi
pratici, dopo esser state rassicurate di venire sempre accompagnate e sostenute
nella ricerca di soluzioni pratiche, hanno scelto, allora sì liberamente, di
far nascere il loro bambino. Anche medici e operatori sociali , ai quali lo
stato affida il compito di tutelare la maternità, riconosciuta come bene
sociale, raramente incoraggiano a proseguire una gravidanza "incerta"
per non influenzare la donna, dicono, mentre di fatto non attivandosi a offrire
tutti gli aiuti necessari per trovare soluzioni ai problemi, scaricano su di
lei ogni responsabilità. La donna, lasciata a se stessa, proprio nel momento in
cui avrebbe più bisogno di sostegno, trova intorno a sé il vuoto ed è, in un
certo senso come indotta ad abortire. Per questo riteniamo che l'aborto è una
violenza anche contro la donna che si porterà questa ferita per tutta la vita,
come ci racconta chi ha fatto questa esperienza così devastante e traumatica
per la loro salute. Siamo certi, perché ne abbiamo il riscontro, che se ad ogni
donna venisse data un'opportunità di ascolto, aiuti adeguati, incoraggiamento
in un clima di solidarietà rassicurante, molti degli 800 bambini che ogni anno
qui nella nostra USL sono eliminati con l'aborto legale, potrebbero nascere e
far felici le loro mamme e i loro papà,come è successo a Stefano ed Ester che
sono qui con la loro piccola Sara per raccontarci la loro esperienza. Un altro
forte condizionamento culturale dei nostri giorni è il rifiuto della malattia e
della diversità che crea nei genitori l'ansia , indotta anche dai medici stessi,
che caldeggiano di fare tutte le indagini prenatali possibili, per conoscere lo
stato di salute del bambino. Lo scopo è di decidere se è degno di venire al
mondo o se è meglio per lui o per lei essere eliminata, "come estremo atto
d'amore" fa credere una mentalità perversa che reputa la qualità della
vita più importante della vita stessa. Sappiamo che il 90% dei genitori ai
quali è stata fatta una diagnosi prenatale di malattia o malformazione decidono
per l'aborto cosiddetto "terapeutico" anche se non cura nessuno: il
piccolo viene barbaramente soppresso e la mamma resta comunque nel dolore e nel
dramma per non aver saputo o voluto accogliere quel figlio perché malato. Come
comunità che ha nelle proprie famiglie tanti figli "speciali", scelti
e rigenerati nell'amore perché accolti in tutta la loro preziosità, diamo
disponibilità ad incontrare quei genitori, spesso soli e spaventati, che, tra
tremendi conflitti, si trovano a decidere della vita o della morte del loro
piccolo. Abbiamo costatato che far conoscere direttamente dei bambini affetti
dalla stessa patologia diagnosticata al figlio in grembo, aiuta questi genitori
ad avere una visione più umana della realtà e la disponibilità di chi vive
situazioni analoghe a star loro vicino anche nel futuro, incoraggia ad
accogliere un figlio che porta su di sé il mistero della sofferenza, che
comunque è mistero che genera vita; come ci racconta Grazia Isaia che da 18
anni vive con Nicola, che soffre di una grave patologia che lo tiene sospeso
alla vita con un filo. Franca Franzetti